I lavori che non vuole fare più nessuno

Nel dibattito pubblico è sempre più ricorrente il tema della carenza di lavoratori  in ambiti lavorativi descritti come meno attrattivi per quanti siano alla ricerca di un impiego.

La mancanza di lavoratori viene avvertita soprattutto nei  seguenti settori.

 

  • pulizie con oltre 14.000 figure mancanti tra addetti alla pulizia uffici, condomini e locali aziendali;
  • ristorazione con il 32% di lavoratori mancanti soltanto nel mese di agosto tra camerieri, cuochi, pizzaioli e addetti agli stabilimenti balneari;
  • l’edilizia con 16.000 posizioni libere per operai edili;
  • logistica con 15.000 posti vacanti tra autotrasportatori e addetti ai magazzini.

 

La carenza di lavoratori delineata nell’indagine intitolata “Il lavoro che c’è, i lavoratori che non ci sono” curata dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro mostra una tendenza che sarà presente nel mercato del lavoro nei prossimi mesi e che potrebbe condurre alla mancanza di oltre un milione di lavoratori entro il 2026 a fronte di oltre quattro milioni di posizioni libere. Questi dati sembrano trovare conferma nei dati riferiti da  Unioncamere e Anpal, secondo i quali la percentuale di imprese in difficoltà nel reperire figure professionali è pari al 41,6% del totale,con un incremento vicino al 9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. 

 

Quali possono essere le cause di questa carenza di personale?

 

I giovani che si affacciano al mercato del lavoro sembrano essere sempre meno propensi ad accettare impieghi non adeguatamente retribuiti o troppo impegnativi in termini di orari ma oltre a questi aspetti si ritiene determinante il fattore demografico.

Tra il 2018 e il 2021, la popolazione italiana in età da lavoro compresa tra i 15 e i 64 anni si è infatti notevolmente ridotta, con una calo di 636.000 residenti, 262.000 dei quali hanno età inferiore ai trentacinque anni.

A questi numeri si aggiungono 194.000 cittadini residenti che dichiarano, secondo quanto riportato dai dati Eurostat  di aver smesso di cercare lavoro. I cosiddetti inattivi sono fuori dal mercato del lavoro per le ragioni più disparate tra cui l’impegno di studio, lo svolgimento di un’attività domestica, la gestione dei figli piccoli, l’assistenza ad un familiare anziano o malato o, più semplicemente, per lo  scoraggiamento provato in seguito a ripetuti tentativi di ricerca lavoro non andati a buon fine.

 Ma chi sono esattamente gli scoraggiati? Eurostat definisce scoraggiati  coloro che non cercano più lavoro “believing no job available”,  credendo cioè che non ci siano lavori disponibili. Il loro numero sottolinea la cronica debolezza della domanda di lavoro e ci fornisce un’ulteriore variabile per comprendere il problema della disoccupazione. Gli scoraggiati, infatti, non sono altro che disoccupati che, nella convinzione di essere ormai tagliati fuori dal mercato del lavoro, smettono di cercarlo attivamente.

La carenza di personale lamentata dalle aziende potrebbe rappresentare un incentivo alla ripresa della ricerca di un impiego da parte di queste persone anche con l’impegno da parte delle imprese di veicolare correttamente la cultura e i valori aziendali. Lavorare nella ristorazione, nei servizi o nella logistica può rappresentare motivo di grande soddisfazione in contesti organizzati, dove sia valorizzato l’impegno personale, si ricevano adeguata formazione, retribuzione commisurata all’impegno orario richiesto, e, perchè no, rispetto del tempo libero contrattualmente previsto al quale i giovani lavoratori non possono e non devono rinunciare.

 

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